top of page
GIORGIO-GRIFFA.jpg

“…nulla è più chiuso, antidemocratico e illiberale del «libero mercato» in cui prevale la legge del più forte”

da Fabio Mini, Le guerre non scoppiano più


L’arte contemporanea o, per lo meno, quella sua parte assorbita dal “glamour”, feticcio e specchio del mercato tardo capitalistico, conduce, inevitabilmente, all’insignificanza delle opere. I pochi e timidi tentativi di un nuovo ritorno all’ordine non sono certamente valsi a invertire la tendenza prevalente.

L’arte, ma sarebbe forse da aggiornarne la semantica, vive oggi di sofisticate ambientazioni dove il ricorso alla concettualità è funzionale alle operazioni di “branding”. Solerti critici si affannano ad illustrare installazioni e “sistemi d’arte” con tenere circonlocuzioni adatte forse a descrivere i giochi di un parco tematico o l’efficacia di un cosmetico. Tutto è facilitato dall’ormai impossibile riferimento ad una ontologia d’arte: il simbolo e la materia, binomio metaforico per eccellenza, appartengono ad un passato considerato con fastidio o indifferenza.

L’avventura di Egidio Fiorin, la sua sfida editoriale nasce negli anni stessi di questa nuova onda dell’arte e, da subito, edifica una casa in esilio, una piccola patria per una visione dell’opera che rifugga dalle pratiche correnti di spettacolarizzazione e vendita. Il libro diventa un baluardo che le opere attraversano e trasformano e nel quale si immergono come in un’acqua densa di nutrimenti vitali. Il confronto tra arte, pensiero e poesia “precipita” in un nuovo prezioso oggetto, uno scrigno che protegge e ripara ma che, nel contempo, a tutti parla e a tutti trasmette

senso.

È impressionante scorrere l’elenco degli artisti e degli autori coinvolti da Egidio Fiorin nelle sue edizioni, gli incroci, le storie virtuali, i contatti, le influenze vi si riverberano dando vita a strane armonie a sinestesie tra suono e immagine.

Il pensiero corre all’Infinito di Leopardi letto da Valentini o alla stretta, quasi impossibile vicinanza tra le “pietre” di Dante e le “punture” di Castellani piuttosto che alla strana formidabile coppia Pomodoro e Bertolucci.

Sarebbe comodo, e tra l’altro assolutamente giustificato, affermare, con tutti, che questi libri sono opere d’arte, forse addirittura le uniche oggi possibili; io credo tuttavia che essi siano al contempo di meno e di più: di meno perché la natura di un’opera, il suo compito, è di presentarsi in ogni contesto come oggetto di autonoma riconoscibilità espressiva, di più perché il libro può uscire dall’estetica, dal mero riferimento artistico per farsi monito, viatico al profondo significato della bellezza.


Silvio Fuso

bottom of page